Contaminazioni di Terra e Fuoco
Martedì 15 marzo 2011, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura la personale Elettra Cipriani. Contaminazioni di terra e fuoco, curata da Loredana Rea. L’esposizione rimarrà aperta fino all’1 aprile, secondo il seguente orario: dal martedì al venerdì dalle 17,00 alle 20,00.
La mostra, è il terzo appuntamento di Dissonanze transitorie, ciclo tematico di approfondimento, ideato dal critico Loredana Rea con l’intento di riflettere sul bisogno di contaminazione, che sembra caratterizzare in maniera assolutamente determinante la ricerca contemporanea, intesa non solo come volontà di uscire da canoni espressivi e tecnici considerati tradizionali per raggiungere una maggiore libertà di azione, ma anche come necessità di focalizzare l’attenzione su dettagli che altrimenti sfuggirebbero, per tracciare i confini di un territorio ampio in cui prospettive differenti trovano sempre nuove declinazioni.
Nel periodo compreso tra febbraio e giugno sei artisti – Giuliano Mammoli, Elena Nonnis, Elettra Cipriani, Anna Maria Fardelli, Elisabetta Diamanti e Minou Amirsoleimani – differenti per formazione e scelte operative, si confrontano per evidenziare l’importanza di una pratica di continuo e ricercato sconfinamento, strettamente connessa alle molteplici e talvolta transitorie dissonanze di metodo, di progetto, di strumenti e di idee. Quello proposto è dunque un percorso assolutamente permeabile in cui gli artisti invitati presentano le loro opere come i segni inequivocabili della complessa articolazione di un mosaico linguistico capace di creare interessanti commistioni, raffinate decontestualizzazioni e seducenti alterazioni, con l’obiettivo di rendere manifesta la complessità di questo nostro tempo.
Per questa esposizione Elettra Cipriani presenta una serie di lavori in ceramica realizzati specificatamente. Sono piatti di dimensioni differenti, si parte dal diametro di circa 1 metro e si arriva a quello di pochi centimetri, per creare un’istallazione di grande fascino, in cui oggetti che quotidianamente contrappuntano lo svolgimento della vita di ognuno, si mostrano al pubblico con una luce diversa. Tradiscono, infatti, un’insopprimibile vocazione scultorea, rapportandosi dialetticamente con lo spazio, che esalta la loro studiata plasticità, e con la luce, che infiamma le cromie.
La scelta di utilizzare la ceramica come esclusivo strumento espressivo, che caratterizza fin da principio il suo percorso di ricerca, nasce dal grande fascino di questa materia duttile, anche se sempre difficile da manipolare, che racchiude in sé memorie primordiali e, soprattutto, il segreto della contaminazione tra i quattro elementi originari: la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco. In Cipriani l’utilizzo questa materia semplice e allo stesso tempo complessa si manifesta con una manualità sempre controllata, con una costante ponderazione della mescolanza tra argilla, acqua e ossidi, con una continua attenzione ai processi di cottura, con il rispetto di ritmi millenari, per creare forme raffinate nella loro essenziale elementarità.
Contaminazioni di terra e fuoco … di acqua e aria
di Loredana Rea
Le infinite variazioni cromatiche che la terra impastata con l’acqua assume quando si combina con l’aria e il fuoco continuano a offrire a Elettra Cipriani la possibilità di indagare territori differenti, sottesi tra arte e artigianato, in cui gli stimoli si accordano, si intersecano, si intrecciano e legano gli uni agli altri per connotare in maniera coerente esperienze operative maturate con tempi e modi diversi, nell’intento di costruire un serrato dialogo tra tecnica e urgenza espressiva. La ceramica, infatti, rappresenta il motivo che fin da principio ha guidato la sua ricerca creativa, soggiogata dal fascino di una sostanza duttile, eppure difficile da manipolare, che racchiude in sé memorie primordiali e, soprattutto, il segreto della contaminazione tra i quattro elementi originari.
L’argilla non è solo lo strumento privilegiato di lavoro, quanto piuttosto materia di elezione, con cui plasmare forme raffinate nella loro essenziale elementarità, senza mai lasciarsi andare alla felicità manuale del fare. L’obiettivo è cercare ogni volta l’equilibrio tra il rispetto della natura del materiale prescelto e la necessità di assecondare una precisa progettualità, per trovare la misura tra qualità espressive e volontà di espressione.
L’utilizzo della ceramica si concretizza quindi con una manualità sempre controllata, con una costante ponderazione della mescolanza tra terre, acqua e ossidi, con una continua attenzione ai processi di cottura, con il rispetto di ritmi millenari, sia pure declinati con una tensione insopprimibile alla continua sperimentazione, per creare oggetti d’uso che manifestano un’inaspettata vocazione scultorea. Sono manufatti che sviluppano con intelligenza il rapporto complesso tra tradizione e contemporaneità e si relazionano dialetticamente con lo spazio, che esalta la studiata plasticità delle forme e ogni piccola asperità, e con la luce, che accarezzando le superfici infiamma le cromie. Questo le permette di rifuggire ogni effetto decorativo fine a se stesso, tentazione forte per chi come lei padroneggia i principi di una tecnica antica, e di conferire ai suoi lavori uno status ambiguo, che nulla toglie alla loro bellezza, dimostrando anzi come talvolta il confine che separa l’arte dall’artigianato sia una linea tanto sottile da annullarsi nell’assolutezza della forza creativa.
Per questa esposizione Cipriani presenta una serie di lavori realizzati specificatamente, in ceramica ingobbiata, con interventi di materiali eterogenei: ferro, leghe, rame, vetro, sabbia, smalti modificati, in cui la casualità offre infinite deroghe alla puntualità del metodo. Sono piatti di dimensioni differenti, si parte dal diametro di circa un metro e si arriva a quello di pochi centimetri, per costruire un’istallazione di grande fascino, in cui oggetti che quotidianamente contrappuntano lo svolgimento della vita di ognuno, si mostrano al pubblico in una luce diversa: sono, infatti, la prova tangibile di una grande perizia, di un saper fare conquistato con sapienza e pazienza e al tempo stesso della volontà di andare oltre. Tradiscono una fisicità forte e contemporaneamente discreta, mai assertiva, che non si esaurisce nella forma d’uso, anzi parte da essa per suggerire la necessità di sconfinare, per scoprire emozioni e sensazioni al di là della materia che li incarna e che pure racchiude in sé un’energia pronta a straripare, invadendo incontenibile lo spazio circostante.
Sui piatti, moduli minimali che creano studiate combinazioni di misure, di colori, di sequenze, si materializza, infatti, una volontà affabulatoria, che nel piacere del lavoro artigianale esprime la continuità di un percorso di ricerca giocato tutto intorno alla necessità di dare forma al proprio sentire. Un sentire che nel silenzio di una domestica e accogliente fucina, qual è lo studio della ceramista, con il forno, i grandi tavoli da lavoro, i vasi di campionature cromatiche, ha trovato la consapevolezza di sé in un’operatività che ha il sapore di una pratica alchemica.
A intrigare è proprio il quotidiano rinnovarsi di una sfida alla contaminazione sempre sorprendente di terra e fuoco, di acqua e aria e alla possibilità di controllare, lasciando un piccolo spiraglio all’intervento del caso, i processi che intervengono tra i quattro elementi essenziali e gli altri materiali, scelti per innescare reazioni chimiche sempre diverse e commistioni difformi, che contribuiscono in maniera determinante all’intensità dell’effetto finale.